Akiko shiroi chō

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Diverse leggende del folklore nipponico hanno per protagonisti elementi della natura ed in una di esse si parla di una farfalla bianca Akiko shiroi chō (晶子、白い蝶).

Si racconta che nei pressi di un cimitero abitava un uomo il cui nome era Takahama ben voluto da tutti non si era mai sposato e vive sempre da solo eccetto qualche rara visita dei parenti.

Un’estate l’uomo si ammalò gravemente e chiese l’aiuto della gishi (la cognata) e del oi (il nipote) trascorsi una decina di giorni la situazione non migliorava e Takahama veniva sempre assistito dai suoi familiari. Una mattina entrò dalla finestra una farfalla bianca che si adagiò sopra il cuscino, il nipote a quel punto cercò di farla uscire dalla finestra ma la stessa farfalla puntualmente si ripresentò nei giorni seguenti, così il ragazzo incuriosito dopo averla fatta uscire decise di seguirla.

La farfalla arrivò fino al cimitero lì vicino e si fermò sopra una tomba ma scomparve subito dopo, il ragazzo stordito per quella visione si accorse che quel sepolcro se pur antico era molto curato e pieno di fiori (anche se qualcuno era appassito) si avvicinò per leggere il nome e guardando le date scoprì che si trattava di una ragazza molto giovane di nome Akiko, si diresse subito verso casa per raccontare quanto aveva visto ma scoprì che lo oji (lo zio) era deceduto poco dopo decise di menzionare ugualmente ciò che aveva visto. La madre quando udì il nome di Akiko capì subito e raccontò al figlio che Takahama aveva deciso di non sposarsi perchè all’età di diciotto anni era fidanzato con una coetanea, purtroppo pochi giorni prima delle nozze la ragazza si ammalò e morì, così disperato per quella perdita decise di trasferirsi vicino al luogo di sepoltura dell’amata Akiko prendendosi cura della tomba tutti i giorni.

Il ragazzo pensò che visto che l’uomo a causa della sua malattia fu costretto al letto lo spirito dell’amata aveva fatto visita al suo innamorato, pochi istanti dopo dalla finestra entrarono due farfalle bianche che si poggiarono sulle spalle dei presenti e successivamente se ne andarono volando via insieme.

Mentre in un’altra leggenda sempre legata alle chō (le farfalle) ma di colore aoi (blu) si narra di un uomo rimasto vedovo che si prendeva cura delle due figlie con affetto e dedizione. Sempre più intelligenti e curiose le ragazze ponevano continue domande al padre che tentava di rispondere costantemente con saggezza, ma con tempo le domande diventarono di continuo più articolate e il padre non sapendo più rispondere in modo adeguato decise di portare le figlie dalla persona più saggia e che gli aveva insegnato tutto il suo sapere.

Arrivarono così sopra le montagne dove viveva un bōzu, le ragazze salutarono il padre che le lasciò in compagnia del monaco per qualche settimana ed elle incominciarono a fare numerose domande al religioso che rispondeva sempre con saggezza e fermezza senza mai titubare.

Fu così che le sorelle decisero di studiare una domanda che avrebbe tratta inganno anche il saggio monaco, proprio in quel momento entrò nella loro stanza una farfalla blu che si adagiò sopra le mani di una di loro, osservandola si resero conto che sarebbe stata proprio quel lepidottero ammettere in difficoltà il bōzu.

Così la sorella maggiore pensò che il monaco avrebbe dovuto rispondere ad un quesito: stringendo la farfalla tra le mani, il saggio doveva indovinare se il lepidottero fosse viva o morta (se il monaco avesse scelto “viva” la farfalla stretta tra le mani sarebbe stata uccisa altrimenti con la scelta “morta” la farfalla sarebbe stata liberata).

Convinte di aver trovato un quesito impossibile da rispondere anche per il bōzu quella stessa mattina dopo averlo salutato posero la loro domanda al monaco che con un sorriso esclamò che quella risposta non dipendeva da lui in quanto come il proprio destino la vita della farfalla era nella loro mani e solo loro potevano sceglierne cosa farne, così la ragazza lasciò volare viva la farfalla.